LE 3 PSICOFASI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS: AZIONI POSITIVE ALLA PORTATA DI TUTTI PER SUPERARE LA PSICOFASE 3

LE 3 PSICOFASI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS:

AZIONI POSITIVE ALLA PORTATA DI TUTTI PER SUPERARE LA PSICOFASE 3 Psicopillopla di Cristina Sciacca Psicologa contatto Skype: Cristina Sciacca

Con questa psicopillola, vorrei porre l’attenzione sulle tre fasi psicologiche, le psicofasi, che si possono individuare in questi tempi di coronavirus per porre l’attenzione, appunto, sulla terza che stiamo ora attraversando ed indicare quali atteggiamenti mentali, comportamenti e buone prassi adottare per farvi fronte.

Le fasi psicologiche che viviamo e stiamo vivendo in questi tempi di coronavirus sono qualcosa di intangibile, si tratta di processi inconsapevoli, inconsci, ma che possono travolgerci.

Se vi prestiamo attenzione, attivando le nostre risorse riflessive (è sempre l’attivazione del cervello corticale che ci consente la razionalità e la consapevolezza), credo che tutti le possiamo riconoscere per gestirle in mono efficace e, appunto, non farci travolgere da esse.

Mi riferisco ai risvolti emotivi che sono interconnessi ai nostri comportamenti ed al nostro modo di percepire il mondo che ci circonda e/o che abbiamo dentro di noi e che tanto influenza il nostro modo di percepire e reagire all’ambiente.

In questi giorni c’è un gran parlare dell’attivazione della Fase 2, che sarà quella della ripresa delle attività economiche con azioni tangibili. Siamo in attesa che il Presidente del Consiglio  e i membri del Governo incaricati di gestire la Crisi ci illustrino come sarà, quando inizierà, cosa comporterà, in termini di azioni e comportamenti da attuare per l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica.

Facciamo un gran parlare della fase 2 che deve arrivare, ma io penso che siamo già alla fase psicologica 3 e che sia questa che dobbiamo gestire con la difficoltà della sua intangilibilità, che però diventa tangibile in termini di malessere psicologico di tutti noi che stiamo vivendo una esperienza traumatica.

Ho individuato queste tre fasi psicologiche ai tempi del coronavirus, che ho chiamato PSICOFASI: 1.negazione/panico, 2.accettazione, 3.Gestione della fatica e dello stress psicofisico.

Le psicofasi hanno avuto inizio attorno a fine gennaio ed hanno comportato un cambiamento collettivo che si trasforma e ci porterà a nuove psicofasi, fino a quando ritorneremo, tra un tempo ancora indefinito a sentirci nuovamente al sicuro dal punto di vista della salute, delle nostre condizioni economiche e di vita, situazioni che portano a vivere in uno stato emotivo di una certa sicurezza (https://cristinasciaccapsicologa.it/vita-ai-tempi-del-coronavirus-test-qual-e-la-situazione-che-sto-vivendo/).

Le emozioni sono naturali, fanno parte dell’uomo ed è fondamentale riconoscerle e accettarle per poterle fronteggiare con modalità e comportamenti volti a gestirle in modo efficace e non dannoso per se stessi, o per chi ci sta vicino.

Questa psicopillola è stata creata al fine di portare a consapevolezza l’aspetto emotivo/psicologico per non essere succubi della nostra stessa emotività, e per facilitare l’attribuzione di senso di ciò che si vive e per promuovere azioni positive di buone prassi che ognuno può attuare nella propria realtà indicando le azioni positive alla portata di tutti per superare la psicofase 3 .

Come per le altre psicopillole, provate a vedere se trovate corrispondenze con voi stessi e mentre leggete cercate di entrare in contatto con i diversi vissuti.

Le emozioni sono fondamentali, sono naturali, fanno bene, ma devono essere gestite in modo adattivo; se e quando diventano, invece, fonte di malessere per noi stessi e/o per chi ci sta vicino, averne consapevolezza è l’unico modo per essere di aiuto a noi stessi o la base per chiedere un aiuto esperto.

E’ una psicopillola un po’ massiccia, leggetela un po’ per volta, saltellate qua e là, magari cominciate dalla fine, dove parlo della psicofase 3 e illustro le azioni positive alla portata di tutti che possiamo attuare per gestire la stanchezza che proviamo, poi risalite alle fasi precedenti, se vi va.

Buona lettura!

PSICOFASE 1 : LA NEGAZIONE/PANICO

Possiamo mettere l’origine di questa prima psicofase nel gennaio 2020.

La negazione è un processo psicologico che ha il fine di difendere il soggetto da esperienze emotive destrutturanti o, comunque negative, un meccanismo difensivo che intende proteggere negando ciò che esiste in modo da evitare la sofferenza.

E’ una modalità difensiva che si attiva automaticamente, in particolare in situazioni traumatiche e ci fa pensare, e dire frasi come queste:

“Non è vero”

“Non sta succedendo davvero a me/noi”

“Esagerano”

“Vabbè, succede in Cina, o in Veneto o a Codogno, cosa centro io/noi”

Chi non ha pensato o detto quelle frasi nel periodo da fine gennaio a febbraio?

Quando le notizie di Wuhan ci facevano pensare che fossero i cinesi ad avere il problema, o quelli di Codogno, o di Vò Euganeo, tutto sembrava confinato, quindi il problema era solo il loro.

Poi però dal 23 febbraio hanno iniziato ad accadere cose inimmaginabili, fino ad allora riservate ai film di fantascienza, oppure ai popoli sfortunati del terzo, o quarto mondo (cioè lontani da noi).

Hanno iniziato a chiudere le scuole, musei, bar, le attività produttive non essenziali, poi, infine, con il drammatico DPCM del 9 marzo 2020, hanno chiuso le nostre stesse case in tutto il territorio nazionale.

Naturalmente fino a quando questa psicofase 1 di negazione è stata attiva, il nostro atteggiamento è stato di incredulità e resistenza a mettere in atto le misure restrittive di distanziamento sociale volte a contrastare il contagio da SarsCov-2.

Dall’incredulità, alla paura, al panico.

Se fate mente locale, infatti, riuscite a ricordare e individuare un’altra componente di questa psicofase 1, perché tutti possiamo riconoscere che vi è stato un altro fenomeno psicologico che tutti abbiamo vissuto o visto vivere ad altri al posto della negazione: c’è, infatti, chi si è trovato a vivere reagendo con il panico.

Il panico è una reazione legata alla sopravvivenza, quando l’individuo si trova sopraffatto da una minaccia reale o percepita. Sì, anche se è percepita, perché il nostro cervello reagisce allo stesso modo, sia che lo stimolo sia reale, vero, tangibile, sia che si trovi a fronteggiare un pericolo percepito, cioè avvertito o immaginato. Il cervello fa il suo lavoro che è quello di metterci in sicurezza istintivamente, senza stare tanto a pensare.

Il panico, in questo caso, descritto in una mia precedente psicopillola, la prima sull’argomento coronavirus datata 25 febbraio 2020 (https://cristinasciaccapsicologa.it/coronavirus-prevenzione-e-psicosi-di-massa-meccanismi-automatici-dellisteria-di-massa/ in effetti leggendole tutte si vede il cambiamento del mood), è stata l’altra reazione emotiva viscerale che ha portato qualcuno ad avere comportamenti che hanno portato ad isterie di massa.

Tutti ricordiamo le corse ai supermercati per accaparrarsi il cibo (meccanismo di sopravvivenza), con quegli scaffali vuoti che facevano pensare: “…ma allora, qui siamo in pericolo… allora aspetta che accaparro anch’io”, mettendo in atto quei comportamenti di imitazioni propri delle folle che non hanno un cervello individuale, ma appunto diventano un fenomeno di massa dove tutti, senza sapere bene il perché si comportano allo stesso modo.  

L’11 marzo 2020 l’O.M.S., l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di Pandemia.

Fase 2: ACCETTAZIONE DELLA REALTA’ E DELLE MISURE DI CONTRASTO

Nei giorni drammatici seguenti al DPCM del 9/3/2020 piano piano abbiamo iniziato a passare dalla incredulità, allo stordimento, all’accettazione, sebbene controvoglia. Anche qui le reazioni emotive di tutti noi sono state varie e possiamo anche sentirne il diverso flusso e la loro forza, in base alle esperienze che vivevamo, in base a quanto gli effetti provocati dal virus ci fossero vicini, o lontani.

Piano, piano abbiamo imparato a reagire alla perdita delle nostre abitudini, della nostra rete sociale, della nostra routine quotidiana, settimanale, mensile, abbiamo imparato a gestire le distanze e le convivenze forzate, non senza sofferenza.

Ci siamo ritrovati a videochiamare i parenti, anche quelli che magari prima non sentivamo mai, chiamare amici, riorganizzare i tempi e i ritmi quotidiani sballati dall’inattività, conseguenza secondaria della quarantena, a gestire gli spazi di casa, a cucinare cose mai sperimentate in precedenza, a litigare, a gestire le videochat e videoconferenze con maestre e professori, ad acquisire competenze tecnologiche impensate a gennaio.

(psicopillola precedente su come sopravvivere ai tempi del coronavirus https://cristinasciaccapsicologa.it/sopravvivere-ai-tempi-di-coronavirus-nella-convivenza-forzata/).

Ricordiamo che l’uomo è un animale sociale, un essere relazionale, che ha sia bisogno dell’altro, che di avere i propri spazi vitali e che in situazioni di stress e tensione si riduce la tolleranza emotiva e siamo più suscettibili agli stimoli dell’ambienti e a quelli interiori;

ricordiamo anche che le convivenze forzate, gli allontanamenti forzati, la sospensione del lavoro o la perdita del lavoro sono acceleratori di processi e che possono aumentare i conflitti di coppia, familiari e di lavoro.

Abbiamo iniziato questa fase 2 con una certa gioia, o voglia di condividere e sentirsi meno soli, cantando dai balconi, poi piano piano l’energia è scemata, pur mostrando grande responsabilità nel rispettare le misure di contenimento dell’epidemia, nonostante i grandi costi per il nostro equilibrio psicofisico.

Insieme alla accettazione, però in questa psicofase 2 vorrei anche citare altri fenomeni che si sono diffusi in tutto il territorio nazionale: parlo dei fenomeni di incolpazione, quando dagli stessi balconi e finestre da cui prima si cantava e ballava, si è passati allo scagliarsi e insultare chiunque fosse per strada, grande o piccino che fosse, dandogli dell’untore, fenomeno che è già forte sintomo di difficoltà di controllo e regolazione dell’aggressività.  

Abbiamo superato questa difficile psicofase, che per qualcuno può essere stata preziosa occasione di vicinanza emotiva familiare, ma per altri, fonte di grande stress; ci stiamo affacciando alla fase psicologica successiva.

PSICOFASE 3: GESTIONE DELLA FATICA E STRESS PSICOFISICO

Io credo che siamo, o stiamo entrando in questa terza psicofase caratterizzata da forte senso di fatica e stress psicofisico data dalla lunghezza delle fasi precedenti e che richiede a tutti un grande sforzo, ma che dobbiamo affrontare con consapevolezza per superarla con meno danni psicologici possibili.

Sì, perché l’uomo si adatta all’ambiente, ma se il periodo di difficoltà ha una durata indefinita o, comunque se è troppo lungo porta con sé danni psicologici tangibili che occorre riconoscere e gestire tempestivamente per scongiurare l’esaurimento psicofisico.

Il costo dell’emergenza psicologica è molto alto ed in questa psicopillola vogliamo parlare di ciò che ognuno di noi può fare per contenere lo stress individuale e familiare.

L’emergenza sanitaria ed economica, infatti, ci hanno portato ad una enorme emergenza psicologica che già era presente nella psicofase 2 e che in questa psicofase 3 necessita di interventi a livello individuale e .

L’esperienza delle necessarie misure adottate a contrasto del contagio: il distanziamento sociale, il blocco delle attività produttive e della mobilità, ci hanno portato a vivere un’esperienza molto grave a causa  della deprivazione sociale, dell’isolamento, dell’inattività e per l’insicurezza economica, oltre che per la preoccupazione per la salute minacciata dal virus.

Si tratta infatti di un trauma collettivo. Sì, si chiama proprio così, come se fosse stato un terremoto, ma forse può essere paragonato meglio ad un attentato, per l’insicurezza che comporta l’epidemia con il rischio contagio non ancora risolto.

Ecco perché in questa terza psicofase siamo in preoccupazione/fatica/esaurimento: ormai siamo stanchi.

Si tende a non vederne la fine e ci ritroviamo ad essere sospettosi e a temere l’altro per il contagio possibile, se prima stavamo distanti per decreto, ora siamo distanti per paura, al punto che fatichiamo a reggere il contatto visivo quando al supermercato tendiamo ad evitare pure lo sguardo di chi incrociamo, sempre a distanza, tra gli scaffali.

Le preoccupazioni per le difficoltà economiche sono reali, tangibili ed alle stelle.

I disturbi depressivi, d’ansia e del sonno sono all’ordine del giorno, possono aumentare le dipendenze comportamentali e da sostanze, aumentare l’aggressività, quindi i conflitti che ne conseguono a livello di coppia, familiare, coi vicini, o al lavoro sono all’ordine del giorno.  

Ricordo ciò che ho scritto in apertura: per gestire le nostre emozioni, che guidano i comportamenti, è necessario riconoscerle ed accettarle.

Stare meglio, migliorare il nostro benessere è possibile e possiamo e dobbiamo riconoscere e prenderci carico dei nostri malesseri per farvi fronte con grande responsabilità verso noi stessi, la nostra famiglia, la nostra comunità. Sì, perché siamo parte di sistemi interconnessi e il nostro benessere psicologico personale avrà ripercussioni nei diversi livelli.

AZIONI POSITIVE: COSA FARE PER GESTIRE E SUPERARE LA PSICOFASE  3

Per fare affrontare e gestire questa fase di fatica psicofisica è necessario innanzitutto mettere in azione INTENZIONALMENTE i seguenti atteggiamenti mentali:

  1.  Azionare il nostro cervello corticale per effettuare le operazioni di riconoscimento delle emozioni e individuare le strategie per gestirle in modo da non danneggiare noi stessi e gli altri. Possiamo pensare a questo rinforzando la nostra “parte adulta”
  2. Mantenere allenato (significa azionare consapevolmente e ripetutamente) uno stato di fiducia e positività che ci rendono in grado di essere attivi e proattivi nel gestire le situazioni complesse che stiamo vivendo
  3. Sentire tutto il potere che è nelle nostre mani per agirlo anche attraverso piccole operazioni che sono però fondamentali per il nostro benessere e il benessere dei nostri familiari. Questo punto è fondamentale per trovare soluzioni e per ridurre il nostro senso di impotenza, che, al contrario blocca il pensiero creativo limitando la capacità di generare soluzioni
  4. Attiviamo le nostre risorse: quando siamo in difficoltà mettiamo in atto risorse più o meno nascoste, ma che esistono in ognuno di noi proprio per gestire i momenti di difficoltà (che fanno parte della vita, seppure sembrino assurdi come questo del coronavirus)
  5. Avere la consapevolezza che tutto finirà, sarà, probabilmente per un po’ diverso da prima, ma il coronavirus finirà

Vediamo alcune situazioni tipiche di questa psicofase 3 e delle “buone prassi” corrispondenti con le AZIONI POSITIVE ALLA PORTATA DI TUTTI PER SUPERARE LA PSICOFASE 3

  1. Hai sintomi di stress importanti?

Ti sei accorto che è troppo tempo che non dormi, o che stai esagerando con fumo, alcol, cibo, play station, hai sintomi fisici di origine psicosomatica tipo male alla testa, pancia, attacchi di ansia o altro? Hai messo in atto strategie maladattive e ti ritrovi vicino ad una dipendenza, o a litigare forte in casa?

Sei in quarantena fiduciaria e sei costretto a casa e ti senti un untore?

Cerca di mettere in atto azioni di gestione dello stress.

Io ne suggerisco di due tipologie, in base alle tue caratteristiche vedi in quali riconosci maggiormente i benefici per te stesso e per i tuoi familiari:

  • Attività statiche:

fai attività che riducono l’attivazione attraverso il respiro e la consapevolezza del momento presente:

  • esercità la respirazione, cerca esercizi di mindfulness on line, ce ne sono tantissime
  • fai yoga, anche qui on line su you tube trovi di tutto gratuitamente

fai attività che ti danno piacere che producono eustress (stress positivo) e/o che richiedono attenzione focalizzata (così il cervello si distrae dalle fonti di ansia e si concentra su altro):

  • attività manuali tipo: uncinetto, fare la maglia, ricamare, disegnare, dipingere, bricolage, giardinaggio, cucinare, ecc
  • Attività dinamiche:

Fai attività che richiedono sforzi e movimento per eliminare l’energia in eccesso:

  • Pulizie pesanti (ma ormai sarà già tutto pulito)
  • Esercizi di ginnastica, fai le scale su e giù, corri attorno a casa, fai flessioni, anche qui puoi cercarne on line
  • Canta forte a squarciagola le tue canzoni preferite
  • Piglia un cuscino, mettilo sul letto e dagli pugni facendo attenzione di non sbattere sul comodino e farti male
  • Poi per tutti valgono le attività di relazione:

parlare con qualcuno dal quale ti senti capito:

chiama al telefono, o meglio, videochiama un amico, un conoscente, un esperto, chiunque ti possa accogliere in questo momento difficile.

Se vedi che i tuoi sintomi sono importanti o durano a lungo, informa il tuo medico di medicina generale e il tuo psicologo di fiducia (sì, credo che tutti dovremmo averne uno).

2.Riprenderai il lavoro? => METTERSI IN SICUREZZA

Non vedi l’ora di rientrare al lavoro perché sei stanco di stare a casa, ma sei ambivalente ed allo stesso tempo hai paura del contagio?

Hai ragione ad essere preoccupato, fai bene a non abbassare la guardia, è naturale, dato che il problema contagio non è ancora stato risolto (dato di realtà).

 Ci sono fior fior di scienziati in tutto il mondo, che si stanno dando da fare per trovare le soluzioni (dato di realtà legato alla fiducia che genera sensazioni positive di speranza e di potere).

Esercitiamo il nostro potere mettendo in atto le azioni che già conosciamo, già sappiamo  cosa possiamo e DOBBIAMO fare per proteggerci:

  • Mantieni il distanziamento di almeno un metro dai colleghi (non abbracciarli o stringere le mani)
  • Igiene delle mani (acqua e sapone, o soluzioni idroalcoliche da avere sempre con se)
  • Igiene respiratoria (tossisci e starnutisci nel fazzoletto o nella piega del gomito), mascherina
  • Pulisci e disinfetta gli strumenti e i piani di lavoro
  • Arieggia i locali più volte al giorno
  • Stai a distanza dai clienti e richiedi protezioni di plexigass (quelle che vediamo alle casse dei supermercati, o nelle farmacie)
  • Se, poi, hai la febbre, non andare al lavoro

3)Sei in serie difficoltà? CHIEDI AIUTO!

Essere in serie difficoltà è una condizione che può capitare a tutti e che fa parte delle situazioni della vita.

E’ per questo che non ce ne dobbiamo vergognare!

E’ molto sbagliato pensare di farcela sempre da soli, è il mito dell’autonomia e della forza.

Tutti siamo dipendenti e interdipendenti gli uni con gli altri.

Tutti facciamo parte di un tutto: di un sistema familiare, di una comunità, di una nazione.

Tutti siamo forti e deboli allo stesso momento.

Ma quando siamo in forte difficoltà dobbiamo azionare il nostro cervello corticale e chiedere aiuto!

Questo significa prenderci carico di noi stessi, essere forti ed azionare il tasto di emergenza della navicella e non farla schiantare perché ci sembra di essere deboli o ci vergognamo.

Possiamo avere vari livelli di difficoltà in diversi ambiti.

Allora in questi casi è sano chiedere aiuto ad amici, vicini di casa, familiari, esperti o a chi ha il compito istituzionale di intervenire.

  • Stai vivendo una esperienza di maltrattamento e di violenza intrafamiliare o stalking?

 Non tollerare oltre, per te e per i tuoi figli, se ne hai: chiama i Servizi Sociali, i Carabinieri o fai il numero 1522 dove trovi chi ti ascolta, al 1522 trovi anche una app creata apposta.

Se ti senti in pericolo ci sono i centri antiviolenza e le case/rifugio per le donne (lascia perdere i casi drammatici che sentiamo in tv, fortunatamente ce ne sono a migliaia che finiscono bene, ma occorre CHIEDERE AIUTO!)

  • Sei in difficoltà nella gestione dei figli, nei rapporti di coppia o familiari, insomma hai difficoltà psicologiche (cognitive, affettive, relazionali, comportamentali)?

Inizia col chiedere aiuto ad amici e parenti, poi passa ad un colloquio con un esperto psicologo che sia iscritto all’Ordine degli psicologi in modo da rivolgerti a professionisti veri del benessere psicologico. E’ un falso mito che se vai dallo psicologo o sei matto o ci vorranno anni perché ti lega mani e piedi a lui. Lo psicologo (iscritto all’Ordine) fa anche counseling che significa che fa consulenze mirate a risolvere un problema e solitamente sono brevi. Gli psicologi ti trovi al servizio pubblico e, se puoi, nel privato, ora tutti lavoriamo on line ed è meno peggio di ciò che immagini. Personalmente mi sto trovando bene a lavorare con Skype.

  • Sei in difficoltà economiche? Rivolgiti in un crescendo alla tua rete sociale, familiare, alle istituzioni, al Comune, alle parrocchie, alla Croce Rossa. Qualcuno che potrà supportarti in questa difficile fase lo troverai, non rivolgerti a chi si approfitta di te come strozzini, oppure organizzazioni malavitose.  

4.Hai avuto un lutto legato al Covid-19?

Eh, sì, dobbiamo fare i conti anche con questa drammatica realtà di chi sta vivendo questo in prima persona o per il lavoro che svolge.

Carissimo, stai attraversando un momento davvero tragico e ti faccio le mie più sentite condoglianze.

Nessuno dovrebbe passare ciò che hai passato e che stai passando tu. Tu stai malissimo, perché questo maledetto virus ti ha portato via un familiare, un amico, un collega nel modo più atroce.

Attenzione, l’atrocità non è data dalla morte in sé, che, per definizione è sempre tragica e ingiusta e non si è mai pronti ad affrontarla, atroce non solo perché è l’unico per sempre che conosciamo e manda i sopravvissuti nel dolore più cupo, ma allo stesso tempo, nel dolore più naturale, proprio perché la morte è un fenomeno legato alla vita.

L’atrocità della morte ai tempi del coronavirus sta nelle modalità con cui avviene e per come deve essere gestita proprio per contrastare il virus.

Si tratta di una morte vissuta in solitudine, solitudine per chi ci lascia, per chi non può avere il conforto dei cari, ma solo degli operatori che si trovano a loro volta a vivere tragicamente il momento in cui il loro ruolo assume un valore di ultimo familiare surrogato (con terribili conseguenze psicologiche per gli operatori sanitari).

E’ anche una morte vissuta in solitudine anche per chi rimane: figli, fratelli, coniugi, genitori, parenti, amici, colleghi, i quali non possono, o non hanno potuto aver il conforto della vicinanza fisica nella morte e dei rituali del lutto.

I lutti senza corpo sono i più tragici, sono quelli a cui non si può dare una ragione. Sono quelli a cui si può anche sfuggire: “magari non era lui, hanno scambiato qualcosa”, dando spazio, anche qui alla negazione, come nei casi di scomparsa che sentiamo nella cronaca nera.

I lutti senza corpo sono lutti ancora più complessi dei lutti gravi che possiamo vivere, come i suicidi, le morti improvvise, le morti di giovani e giovanissimi.

I lutti senza corpo non consentono un saluto. Abbiamo visto tutti le immagini di quelle carovane di convogli militari che trasportavano salme.

Mi rivolgo a te che hai subito tutto ciò.

E’ necessario che tu compia 5 azioni per procedere con la difficile elaborazione del lutto e uscire dall’impotenza con operazioni cognitive e pratiche che ti aiuteranno psicologicamente a stare un po’ meglio nel dolore del lutto:

  • 1.Purtroppo devi accettare la realtà che il tuo caro non c’è più, anche se non lo hai visto direttamente
  • 2.Sappi che non è colpa tua
  • 3.Sappi che appena possibile potrai raggiungere la salma e fare il funerale che il tuo caro merita e che potrai condividere il momento con tutti coloro che vorrai
  • 4.Intanto, se ancora non lo hai fatto, crea tuoi rituali di saluto, non sei matto se crei un altarino in casa, se accendi una candela, se gli scrivi una lettera
  • 5.Coinvolgi anche i bambini nel casalingo saluto rituale al caro estinto e approfitta per ricordare loro chi e cosa era per te e per voi quando era in vita.

Tutto questo lo devi fare che tu sia religioso, o che tu non lo sia, perché si tratta di pratiche che sono a sostegno dell’equilibrio dei vivi, che spesso vivono in famiglia ed hanno la responsabilità di sostenere emotivamente i più fragili e i propri figli per non fare perdere loro la speranza nel futuro e per non buttarli nell’angoscia.

5. Le cose tutto sommato ti vanno benino, oppure non vanno bene, ma hai un po’ di energia? Allora sii utile agli altri!

Praticare la gentilezza, la solidarietà, è risaputo, è un’altra condizione che dà valore a noi stessi e genera benessere all’altro ed a sé. Questo perché si viene a creare un circuito virtuoso di positività che si autorinforza, e come abbiamo detto la positività è necessaria per portare cambiamenti.

Ognuno nel proprio piccolo può esercitare queste micro (o macro) azioni di solidarietà che hanno un effetto benefico importante per noi stessi ma anche per la nostra comunità. Cosa intendo con essere utili agli altri?

  • Esercitare la vicinanza emotiva: siamo così distanti, ma possiamo fare un sorriso, dare uno sguardo, anche solo a chi incrociamo a fare la spesa, fare una parola con i nostri vicini, chiamare al telefono o videochiamare i nostri anziani per stare loro vicini
  • Agire piccole attenzioni da distribuire a caso, o mirate, in base alle nostre caratteristiche, alla nostra professione, alle nostre possibilità e capacità
  • Aderire all’associazionismo volontario è un’altra attività che dà tanto a chi la fa e a chi la riceve, ovunque ci sono associazioni di volontariato, dalle più importanti e organizzate a livello nazionale e locale, come la Protezione Civile, o la Croce Rossa, alle piccole realtà locali, dalle parrocchie ad altre realtà così forti ed importanti nel nostro Paese

I problemi emotivi che stiamo vivendo in questa psicofase sono tanti e costringono tutti a un grande sforzo di responsabilità, ognuno per il ruolo che riveste, di responsabilità per se stessi, per le proprie famiglie, per la comunità, appunto in base al ruolo che rivestiamo.

In noi abbiamo le risorse, la forza e fiducia per affrontare e superare questa fase e, sicuramente, in qualche modo ce la faremo ed entreremo nella prossima psicofase, quella del “ma come ho fatto a superare tutto” tipica di quando guardiamo indietro e riconosciamo le difficoltà che abbiamo superato!

Psicopillola di Cristina Sciacca Psicologa 

Per counseling on line contatto skype: Cristina Sciacca

Vita ai tempi del coronavirus: TEST qual è la situazione che sto vivendo?

La vita ai tempi del coronavirus fa vivere a livello mondiale la stessa esperienza (malattia, distanziamento, isolamento, blocco attività lavorative, lutti) a tutti gli uomini a qualunque latitudine vivano. Questo sicuramente è vero, ma è altrettanto vero che la percezione ed il vissuto di questa particolare ed unica esperienza dipendano dalle diverse condizioni di vita di ognuno.

Dipanando questa matassa possiamo comprendere quanto sia complessa la situazione e perché si deve parlare sia di emergenza sanitaria ed economica, ma anche e io direi, soprattutto, di emergenza psicologica. Il virus è più vicino alle esperienze di tutti

Allora vi chiedo di fare insieme a me un semplice ragionamento come in un esercizio (utilizziamo il cervello corticale che ci aiuta a riflettere sulle situazioni): proviamo a metterci nei panni di volta in volta nelle diverse situazioni e immedesimiamoci in base a due sole polarità : sicurezza contro precarietà.

La sicurezza intuitivamente porta con sé emozioni positive legate alla stabilità

La precarietà intuitivamente porta con sé emozioni più articolate e più attivanti che possono andare dalla preoccupazione alla paura, alla rabbia all’impotenza.

Una differenza fondamentale nella percezione e nel vissuto della risposta alla minaccia la fa innanzitutto la condizione data dal livello di stress presente nella propria vita al momento dell’evento (traumatico) della pandemia e, dalle caratteristiche psicologiche della persona. Vivevo in una condizione di sufficiente serenità e sicurezza o di stress?

Avere consapevolezza del proprio livello di stress pregresso è importante perché le situazioni che stiamo vivendo, questo sì che è comune a tutti, fungono da acceleratori di processi, nel bene e nel male.

Iniziamo l’esercizio che potete immaginare come un test e cominciamo a fare dei distinguo che aiutano a comprendere quanto ognuno possa o meno avere difficoltà nel vivere questo momento di minaccia di rischio contagio coronavirus con le misure protettive obbligatorie alle quali siamo sottoposti e che limitano totalmente la nostra libertà, che hanno modificato i nostri ritmi, le abitudini e i nostri stili di vita (https://cristinasciaccapsicologa.it/sopravvivere-ai-tempi-di-coronavirus-nella-convivenza-forzata/ )

1.Quale fase di vita sto attraversando?

 In base alla fase di vita, che si può semplificare pensando a fasce di età, avrò una serie prevedibile di bisogni da soddisfare, di compiti di sviluppo e diversi livelli di autonomia/dipendenza che possono portarmi a sentirmi più al sicuro, o più in una condizione di insicurezza. Se sono un minore, ovviamente, la responsabilità di come io affronto il periodo sicurezza dipenderà dai miei genitori o comunque dai miei care giver (che sono coloro ai quali si rivolge questa psicopillola).

a. sono in una fase di sviluppo da zero a dodici anni (età evolutiva): dipendo totalmente dai miei genitori sia per la sopravvivenza fisica che per la mia stabilità emotiva e psicologica. Non ho potere decisionale. Gli adulti hanno il compito di proteggermi, dagli stress, contenere e regolare le mie emozioni. Qualcuno deve prendersi cura di me e del mio tempo strutturandolo per evitare di dovermi confrontare con l’angoscia del vuoto.

 b. sono un adolescente: sono in un periodo caratterizzato da ambivalenze: mi sento grande e piccolo, sono autonomo e dipendente, passo dalla gioia alla tristezza in un battibaleno, sto vivendo la trasformazione del corpo che amo e, più spesso, odio, mi sto creando la mia rete sociale che ha più valore di quella familiare perché mi capiscono più dei genitori, e poi ci sono i primi amori con le passioni, le gioie e i drammi. Sono travagliato? Ma soprattutto, c’è la NOIA. Un bisogno importante in questa fase da soddisfare è avere uno spazio in cui ritirarsi per connettersi con il proprio mondo e i propri amici dai quali sono separato da marzo e non vado a scuola da febbraio. Ho gli strumenti per connettermi con la scuola e gli amici? Gli sport, la parrocchia? Come stanno i nonni? Conosco direttamente qualcuno che è risultato positivo al Covid, che è stato ricoverato, che non è più tornato?  Mi sento in stato di sicurezza o di precarietà?

c. sono un giovane uomo/donna: mi sono affacciato al mondo del lavoro faticosamente, sto studiando ancora, sto facendo tirocini per entrare al lavoro, sono un giovane disoccupato, sono in cerca di una mia strada professionale, a che punto sono? Ho la Partita IVA? Sono fuori di casa con amici studenti, ho un mio appartamento o mi ritrovo in casa coi miei dove sono riconosciuto come adulto oppure nella condizione di figlio magari con poco spazio perché ancora in cameretta con il fratellino? Sono Potrei trovarmi pure nella condizione in cui voglio impegnarmi in una relazione affettiva stabile, oppure non trovo la persona giusta e mi sento solo e sbagliato, ho relazioni instabili, oppure mi vado bene così e sono tutto rivolto al lavoro. Mi devo prendere cura di qualcuno o non fa parte ancora delle mie preoccupazioni? La mia vita sociale? Gli sport? I genitori possono ancora supportarmi? Come stanno i nonni? Sto iniziando ad avere l’impegno nella coppia e abbiamo figli piccoli da gestire? Sono incinta del primo figlio? Conosco direttamente qualcuno che è risultato positivo al Covid, che è stato ricoverato, che non è più tornato?

 d.Sono in una età di maturità: ho impegni familiari, la famiglia di origine è anziana ed ha bisogno di attenzioni, sono soli in casa? abitano lontano, hanno rischio di ammalarsi, devo tutelarli. Quale condizione economica sto vivendo in famiglia. Sento di essere in una situazione di sicurezza o di precarietà   Ho il lavoro, sono in ferie, smart working, cassa integrazione, oppure l’ho perso? Sono lavoratore con partita IVA? Come sarà il mio futuro? Come faccio mangiare oggi la mia famiglia? Come campo e come campiamo? Ho i figli adolescenti da gestire? Conosco direttamente qualcuno che è risultato positivo al Covid, che è stato ricoverato, che non è più tornato? Mi sento in una condizione precaria o di sicurezza?

Mentre leggete, riuscite a mettervi nei panni di chi vive le diverse situazioni e a sentire le differenze? Procediamo con l’esercizio.

d. Sono di terza età: Questa condizione porta a vivere una condizione di maggiore vulnerabilità. Più invecchiamo e più ci avviciniamo alla morte. Lo so, è brutto da dirsi, ma la verità è questa. Vivo solo? Sono vedovo o ancora ho il compagno? Com’è il mio stato di salute, so dalla televisione che guardo sempre che il covid-19 è letale per chi è grande di età, perché è più probabile che si abbiano più malattie tipo diabete, cardiocircolatorie, pressione alta. Ho una mia autonomia, o dipendo da altri per assumere le medicine, mangiare e svolgere le funzioni quotidiane? Ho una rete sociale che vedo tramite whatsapp, o che sento al telefono, o con cui parlo dal balcone/finestra? Ho una pensione che mi consente di vivere serenamente? Mantengo vivo il mio interesse e guardo il Papa in tv, la messa, la soapopera, i programmi di cucina, o cos’altro mi distragga da tutta questo infodemia sul coronavirus. Conosco direttamente qualcuno che è risultato positivo al Covid, che è stato ricoverato, che non è più tornato?

2.Clima familiare nella convivenza forzata della quarantena (che sembra un’ottantena)

Ognuno in casa ha i propri spazi e i ritmi rallentati sono un piacere o un po’ noiosi o sono un incubo? Facciamo insieme il pane, la pizza, ginnastica, le pulizie, o non si parla per non litigare? Siamo riusciti a mettere da parte le discordie precedenti la quarantena o la fanno da padrone a dispetto della presenza dei figli? Le preoccupazioni economiche o le problematiche relazionali tra i familiari hanno il sopravvento sull’umore dei componenti della famiglia. Il clima è buono oppure ci sono tensioni che faticano a rientrare?

Il clima casalingo trasmette sicurezza o si è sempre sull’orlo della apocalisse?

3.Condizioni di salute proprie o dei propri familiari o conoscenti stretti

Ho avuto un’esperienza diretta del virus? Mi ha toccato in qualche modo, o a toccato qualcuno a me vicino? Come argino la paura del contagio? Ho avuto un tremendo lutto?

4.Professioni sanitarie

Non posso non riservare una attenzione particolare a chi si trova in prima linea. Svolgo la mia attività professionale come operatore sanitario e sono a contatto diretto con i malati covid? Sono a contatto diretto con la tragedia umana del coronavirus? Ho visto, sentito, toccato, respirato, cose atroci? Anche in questo caso, come sto vivendo questa situazione traumatica, in cui si fatica a trovarne il senso, perché un senso non ce l’ha? Ho alle spalle un gruppo di lavoro che mi da sicurezza, una famiglia stabile come un porto sicuro, o mi sento in pericolo?

Ho detto più volte in precedenti psicopillole, quanto sia importante utilizzare questo momento storico per esercitare un po’ di introspezione perché conoscerci ci aiuta ad affrontare meglio le vicissitudini della vita.

E’ un piccolo esercizio che aiuta a comprendere la complessità del momento e facendoci capire che se siamo esauriti, è abbastanza comprensibile perché stiamo vivendo una esperienza dai risvolti psicologici tipici delle esperienze traumatiche.

Credo che questo esercizio possa essere uno stimolo per avere consapevolezza di ciò che stiamo attraversando nella nostra vita e che possa anche essere uno strumento utile per metterci nei panni degli altri ed uscire dalla modalità autocentrata nella quale spesso cadiamo per la frenesia della vita o per difesa, o per carattere.

Capire l’altro, quali siano i bisogni dell’altro, immaginare come possa sentirsi l’altro e che difficoltà possa avere pur vivendo tutti la stessa esperienza di distanziamento sociale, ma facendo lo sforzo di mettersi nei suoi panni credo sia di aiuto.

Vedere l’altro aiuta noi stessi e aiuta l’altro ed aiuta a tirare tutti fuori le nostre risorse.

Capire l’altro è di aiuto per non dare per scontato ciò che abbiamo nelle nostre vite, per comprendere che esiste un mondo oltre a noi, che in situazioni come queste è NECESSARIO abbassare l’asticella delle nostre aspettative ed abbassare i ritmi adattandoci a questi nuovi per fare riserva di energia e concentrarci sulle nostre risorse. Cercare di attivare le nostre risorse significa essere i coach di noi stessi che vegliano su di noi e sono in grado di spronarci e consolarci e anche di motivarci.

Capire l’altro è di aiuto per riconoscere le condizioni privilegiate di chi, sebbene con l’asticella abbassata, sta vivendo in un periodo caratterizzato da una certa sicurezza per riconoscere chi invece vive condizioni più penalizzate vivendo nella precarietà della salute, economica, familiare.

Credo, infine, abbassando l’asticella, che sia di aiuto a rimanere umani, “…perché tanto, prima o poi, gli altri siamo noi”.

Psicopillola di Cristina Sciacca Psicologa contatto Skype Cristina Sciacca

Psicopillola per la gestione del personale: Piccolo vademecum sulla comunicazione in Emergenza per chi gestisce il personale

Psicopillola per la gestione del personale:

Piccolo vademecum sulla comunicazione in Emergenza

di Cristina Sciacca Psicologa

 Come state oggi? In quale fase psicofisica siete? Ma soprattutto, qual è il vostro ruolo al lavoro?

Vi trovate, forse, nella situazione in cui siete il punto di riferimento dei vostri collaboratori che si rivolgono a voi come se foste degli indovini che, attraverso la vostra palla di vetro, possono predire il futuro?

Ecco allora una psicopillola ad hoc creata per coloro che, per ruolo professionale, hanno il compito di dirigere/coordinare dei collaboratori ai difficili tempi del coronavirus.

Sì, perché le competenze richieste a chi ora deve coordinare/dirigere gruppi di lavoro sono cambiate e rese più complesse dalla situazione: ora si passa dalla comunicazione efficace “semplice” (ovviamente è un azzardo definire “semplice” la comunicazione efficace, ma è per capirci e per attirare la vostra attenzione), alla comunicazione in situazioni di emergenza, conosciuta fino ad ora, solo dai tecnici dell’emergenza dove avere una modalità assertiva diventa d’obbligo.

Stiamo vivendo un momento storico, mai vissuto prima a livello così globale, che ci meraviglia ogni giorno e che nel giro di un soffio, ha sbalzato tutti quanti in questa realtà surreale, ma altrettanto concreta e, piano, piano, stiamo accorgendoci che ci dobbiamo abituare a vivere e che non sarà mai più come prima, c’è un prima e un dopo coronavirus nella vita di tutti.

Ma c’è anche un durante il coronavirus, ed è questo il momento difficile da gestire perché ci si trova a dover gestire l’INCERTEZZA e ci dobbiamo rapportare al RISCHIO che ognuno vive. E se abbiamo un ruolo di direzione/coordinamento dobbiamo rinforzare le nostre competenze comunicative e riflessive per gestire il personale.

Personale che si ritrova a svolgere le funzioni professionali in smart working, (e magari ha figli in smart school, o peggio, figli piccoli che scorrazzano per casa o sopra di loro), o che si reca al luogo di lavoro in condizioni di distanziamento, e che comunque, spesso può essere preoccupato per il proprio futuro, oltre che per la salute.

E’ di questo che abbiamo appena parlato in una interessante video conferenza con sei direttori di una rete di servizi.

Chi, per ruolo gestisce del personale si trova a fare un lavoro molto faticoso in quanto si trova nella situazione di dover intervenire su due livelli:

  1. Livello suo proprio individuale: come sto affrontando io stesso personalmente la situazione di quarantena? Che impatto ha sulla mia vita personale? Che impatto ha sul mio vissuto emotivo? Che impatto ha sul mio piano familiare? Come riesco a regolarmi emotivamente, anzi, la domanda migliore è: riesco a regolarmi (essere in controllo) emotivamente? Dormo? Com’è il mio umore? Sono preoccupato? Ecc. ecc. e per questo livello rimando alle mie precedenti psicopillole
  2. Livello professionale: come ruolo ho il compito di affidare compiti, definire strategie, coordinare i gruppi di lavoro e le attività, ma ho anche il compito di CONTENERE EMOTIVAMENTE il personale che gestisco. Attenzione, non è che prima non lo facessi, ma ora la situazione è di emergenza mondiale, non credo che qualcuno abbia già avuto esperienze simili se non chi si ritrova a lavorare nel settore (Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, ecc.) e le ansie, le preoccupazioni, le paure, l’aggressività del personale devono avere un occhio di riguardo, uno spazio di ascolto.

E’ per questo livello 2 che ho pensato a questa psicopillola in modo da avere qualche spunto tecnico per i miei amici che si trovano a dover gestire questa situazione anomala che richiede, più che in altre condizioni, di esercitare il pensiero riflessivo e di azionare la parte più razionale e creativa propria del nostro cervello corticale proprio per contenere l’emotività degli altri e stabilire le linee di condotta e strategiche.

La COMUNICAZIONE in EMERGENZA

L’obiettivo della comunicazione in questa situazione che stiamo vivendo a causa dell’epidemia da SARS-CoV-2 è quello di sostenere le persone ad attivare le risorse di cui dispongono al fine di affrontare la situazione di emergenza passando dalla preoccupazione a un comportamento consapevole e collaborativo perché l’emergenza sanitaria e psicologica sono entrate nelle nostre vite e le ritroviamo anche al lavoro .

Il direttore, chiamiamo così la figura che coordina/dirige, per capirci, ha sicuramente le sue incertezze, preoccupazioni paure (livello 1 sopradescritto), ma è necessario che faccia da filtro tra il suo interno, le informazioni che riceve e quanto comunicherà al personale.

Il direttore, infatti, ha un ruolo importante di modello di comportamento finalizzato a promuovere e ribadire le azioni di prevenzione sanitaria (che ben ci spiegano e ci ripetono attraverso ogni possibile canale di comunicazione radio, tv, social, ecc.), ma anche quello di definire quali siano le azioni da compiere e non compiere in azienda per creare un clima di partecipazione informata e non di panico.

Per fare questo ha vari strumenti:

1.LA RETE

La rete professionale ora più che più che mai è un punto di forza che aiuta e sostiene il direttore a livello individuale, lo fa sentire meno solo e isolato e sostiene nel confronto e nella decisione della pianificazione della comunicazione. Rinforzare il confronto tra pari nella dirigenza aiuta e sostiene emotivamente chi deve prendere decisioni strategiche. Molto importante che sia tra pari, dato che cercare contenimento in chi si deve contenere non può portare a benefici ed in questo momento i ruoli (responsabilità, compiti, mansioni) devono essere ancora più chiari e definiti perchè nella confusione c’è bisogno di ordine.

2.La PIANIFICAZIONE della comunicazione.

Nelle situazioni di emergenza la comunicazione deve essere pianificata e strutturata nei contenuti, nelle modalità e negli strumenti. “La comunicazione è quindi parte integrante della gestione dell’emergenza ed è fondamentale per costruire fiducia e credibilità e per garantire la collaborazione e la partecipazione. Tutto ciò è essenziale per la costruzione e per la tutela della salute, che rappresenta uno dei determinanti principali del benessere economico” questo è quanto dice l’Istituto Superiore della Sanità per la gestione dell’emergenza, ma è un principio valido anche in azienda in quanto è finalizzata a mantenere un clima di fiducia e collaborazione tra i membri della comunità aziendale, sì, perché ogni azienda è una comunità e come tale va gestita.

Questo significa che per comunicare con il personale le scelte, le nuove indicazioni lavorative, non è efficace fare interventi improvvisati o lasciati al caso, per evitare la perdita di credibilità, ma è necessario optare per interventi strutturati e pianificati .

3.COMUNICARE L’INCERTEZZA.

La situazione odierna è caratterizzata da forte incertezza lavorativa: quando riprenderemo il lavoro, avremo ancora il lavoro, saremo al sicuro con i dispositivi previsti, come sarà il lavoro nel post coronavirus. Gli interrogativi sono di questo tenore, come ben sappiamo tutti.

Per questo è opportuno:  

  • spiegare ciò che è certo rispetto al contesto di riferimento,
  • quali sono le decisioni prese spiegandole nel dettaglio,
  • MOTIVARLE, perché questo consente l’attribuzione di senso, fondamentale per aderire alle disposizioni (prendere ferie, orari smart working, cassa integrazione, nuovi progetti)

Non è funzionale

  • fare previsioni azzardate dando date, notizie, se non sono certe
  • fornire false speranze,
  • dare prospettive catastrofiche
  • sfogare le proprie ansie e preoccupazioni

E’ funzionale

  • dire cosa si conosce di certo citando fonti attendibili e
  • mostrare, con i fatti, quanto si sta facendo
  • azioni concrete per prepararsi al futuro.

La modalità che porta speranza, non è affidarsi a un risolutore dei problemi (Dio, gli dei, il Governo), ma cercare in ognuno di noi il potere di fare, nel nostro piccolo, per influire con le nostre piccole azioni, al superamento/ miglioramento della situazione.

Usciamo dall’impotenza attraverso azioni positive che ognuno nel proprio piccolo può mettere in atto. Queste sono le certezze che un direttore deve comunicare in modo pianificato ed assertivo.

Quindi, nell’incertezza

  • occorre descrivere bene quali sono le certezze,
  • quali sono i fatti e i comportamenti da seguire
  • questo per trasmettere le modalità in cui svolgere azioni/operazioni/comportamenti per fare sentire i collaboratori in una posizione di percezione di potere e meno di impotenza.

4.COMPETENZA DI ASCOLTO

Cosa è importante che faccia ancora di più nelle fasi di emergenza il direttore/coordinatore per contenere emotivamente il suo personale? Le preoccupazioni per il futuro professionale o per la salute, sono legate al rischio percepito ed è molto importante dare spazio alle domande, incertezze, preoccupazioni.

Creare momenti strutturati con funzioni di contenitore (riunioni, spazi mail, gruppi condotti da personale esperto per la gestione delle emozioni, ecc.).

Anche in questo caso è fondamentale seguire le istruzioni del punto precedente sulla comunicazione dell’incertezza

Evitare di essere preda del cervello emotivo/rettiliano che porta a non controllare le emozioni:

  • sminuendo il valore delle preoccupazioni,
  • ridicolizzando le preoccupazioni
  • negando le preoccupazioni
  •  perché sono modalità che probabilmente le rinforzeranno e stimoleranno la risposta del cervello emotivo/rettiliano dell’altro

Cercare di azionare il cervello corticale che porta a comportamenti creativi e riflessivi:

  • Mettendo in atto consapevolmente le modalità proprie dell’ascolto attivo con particolare attenzione alla comunicazione non verbale
  •  comprendendo le preoccupazioni
  •  rispondere con le certezze che si hanno cercando di stimolare il cervello corticale dell’altro
  • farsi aiutare individualmente da uno psicologo iscritto all’Ordine professionale tramite un progetto creato ad hoc

Buon lavoro a tutti, vi saluto e torno al mio prossimo Skype per una consulenza on line, che, devo dire, mi sta proprio molto piacendo. Questo “durante coronavirus” mi sta portando una modalità di lavoro che non avrei mai scelto, quella on line e che mi ha portato ad un cambiamento professionale che considero una crescita di competenze che ora fa parte della mia modalità operativa di fare counseling e psicoterapia. Credo che sia così per molti, d’altra parte, non abbiamo molta scelta, se non l’adattamento all’ambiente, questa volta ambiente di lavoro per il post coronavirus.

Psicopillola di Cristina Sciacca Psicologa